Verde&Nero: l’ecologia secondo la destra radicale

Chi sono gli ecofascisti nella storia e in che modo oggi i temi della crisi climatica vengono inclusi nei programmi dei partiti di estrema destra e nel discorso della galassia alt-right.

Verde&Nero: l’ecologia secondo la destra radicale

Venerdì 7 marzo a MondoCult parliamo di come si stanno incrociando destre estreme ed ecologia. In una parola, parliamo di ecofascismi. Con Francesca Santolini, Leonardo Bianchi e Filippo Guidarelli.

In Europa e negli Stati Uniti, gruppi nazionalisti e identitari stanno sempre più appropriandosi del discorso ambientalista per giustificare le proprie agende politiche, soprattutto in ottica anti-migranti. Ma chi sono gli ecofascisti nella storia e in che modo oggi la crisi climatica si lega all’ascesa dei nazionalismi contemporanei?

Ne parleremo venerdì 7 marzo a Siena, nella rassegna MondoCult, con Francesca Santolini, giornalista e saggista che ha di recente pubblicato per Einaudi “Ecofascisti”, e con Leonardo Bianchi, giornalista e tra i maggiori esperti italiani di complottismi e ideologie di estrema destra. Con loro, a introdurre e moderare la discussione, ci sarà Filippo Guidarelli, editor e antropologo, che ha spesso approfondito lo spettro ideologico delle destre estreme e dei complottismi attraverso le loro manifestazioni nel mondo digitale.

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In attesa di sentire dal vivo chi davvero ne sa qualcosa di questo tema per niente piano, e nemmeno lineare, ho messo insieme alcune note a partire dalla consapevolezza che il termine "ecofascismo" possa a molti suonare inusuale, scivoloso e contraddittorio: è vero, infatti, più volte mi è capitato di leggere spaesamento nelle espressioni facciali della persona a cui parlavo dell’appuntamento del 7 marzo di MondoCult. “Ecofascisti dici? In che senso?”. Perché è vero, come spiega anche Francesca Santolini, che esiste un bias cognitivo molto solido che lega il milieu culturale dell’ecologia esclusivamente al pensiero progressista. Non è esattamente così, o meglio: non è più così.


“Ecofascismo” è una parola che può effettivamente essere percepita come un ossimoro che unisce l’ecologia, tradizionalmente associata a valori progressisti, con le ideologie autoritarie e di estrema destra. È noto infatti che l’estrema destra tende a  negare o minimizzare il cambiamento climatico: la prassi recente è stata di osteggiare, ridicolizzare, nonché uscire dagli accordi internazionali sul clima e spingere sul negazionismo climatico per riaffermare la sovranità nazionale. 

Tuttavia, con l’aggravarsi della crisi ambientale, stiamo assistendo a svariati casi in cui il discorso ecologista viene cooptato in retoriche e programmi sempre più autoritari e radicali. Diverse forze di estrema destra in Europa hanno iniziato a integrare temi ecologici nel loro discorso politico, spesso piegandoli a una retorica nazionalista e anti-immigrazione. Vox in Spagna, ad esempio, ha minimizzato il cambiamento climatico e ha usato la tutela dell’ambiente come argomento per giustificare un rafforzamento delle frontiere, sostenendo che l’immigrazione metterebbe sotto pressione le risorse naturali del paese. In Francia, il Rassemblement National di Marine Le Pen ha sviluppato la nozione di "patriottismo ecologico", secondo cui la protezione dell’ambiente francese sarebbe minacciata dall’immigrazione di massa e dalla globalizzazione. Anche l’FPÖ in Austria e l’UDC in Svizzera hanno adottato una linea simile: pur non negando esplicitamente la crisi climatica, si oppongono a regolamentazioni ambientali sovranazionali e vedono la difesa dell’ecosistema come una questione di protezione del territorio nazionale, con il sottotesto che il contenimento dell’immigrazione sarebbe parte della soluzione. 

La convergenza tra ambientalismo e nazionalismo non è affatto casuale, ma risponde alla necessità di adattare il discorso populista a un’opinione pubblica sempre più sensibile alle tematiche ambientali. L’ecologia diventa così un nuovo campo di battaglia politica, rafforzando la contrapposizione tra "noi" e "loro", tra cittadini autoctoni e migranti. Alla base di questa narrazione si trova l'idea che le risorse del pianeta non siano solo beni da sfruttare per il profitto, ma debbano essere destinate soprattutto al benessere della "nostra gente", in una visione che lega il territorio al sangue e all’identità nazionale.

Non si tratta, in fondo, di una dinamica nuova né particolarmente sorprendente: la storia del Novecento ha già mostrato come le idee ecologiche siano state spesso strumentalizzate a fini nazionalisti, xenofobi e autoritari.

Le origini del cosiddetto ecofascismo - sull’opportunità del termine il dibattito accademico è aperto -  si intrecciano infatti con la storia dei regimi autoritari del XX secolo, in particolare con il fascismo italiano e il nazismo. Entrambi utilizzarono l’ambientalismo come strumento di controllo sociale e di esclusione, piegando la protezione della natura a fini ideologici e propagandistici.

Il regime fascista in Italia pensava il paesaggio naturale come un’estensione del mito nazionale e non ne parlò solo attraverso cinema, scuole, adunate e manifesti, ma si impegnò a trasformare la stessa geografia del paese in una narrazione politica. Montagne, colline, fiumi, paludi, foreste e parchi nazionali divennero parte integrante dell’immaginario: natura e paesaggio divennero, insomma, fascisti. 

Esempio emblematico: il versante ovest del monte Giano, in Abruzzo, dove più di 20.000 pini piantati sotto il regime formano ancora oggi la scritta “DVX”, lunga otto ettari. In condizioni di cielo terso, la firma del regime è visibile da Roma.

Tra le politiche ambientali più significative e note del fascismo vi fu la bonifica integrale, un progetto che venne presentato come un’operazione di modernizzazione, miglioramento ambientale e tutela della salute pubblica, ma che la storia ha dimostrato fosse un progetto di ingegneria sociale con cui il regime centralizzava il controllo del territorio, rafforzava la propria autorità e promuoveva l’italianizzazione delle campagne.

L’ideologia della bonifica non si limitava alla trasformazione fisica del territorio, ma assumeva una valenza bio-politica: bonificare significava eliminare non solo le paludi e le zanzare, ma anche “impurità” razziali e culturali. Era nella lotta tra l’uomo e la natura che nasceva il fascista italiano.

Frank Snowden, storico dell'Università di Yale, ha analizzato l'impatto devastante degli interventi di bonifica durante il regime fascista italiano nel suo libro La conquista della malaria. Una modernizzazione italiana 1900-1962 (Einaudi, 2008) e ci dice come tali operazioni abbiano comportato un costo umano elevatissimo, tra cui lo sradicamento di comunità rurali, l'imposizione di nuovi modelli di vita e un aumento significativo della mortalità tra i lavoratori impiegati nelle opere di drenaggio e risanamento.

Il principale giornalista ambientale italiano del dopoguerra fino agli anni ‘80, Antonio Cederna, descrisse come la “distruzione creativa” fascista del paesaggio e dell’ambiente, inclusa l’architettura vernacolare, fosse parte di un processo continuo di trasformazione del territorio, visibile già dall’Unità d’Italia. La creazione dei parchi nazionali alpini fu spesso celebrata come il più grande contributo del fascismo alla tutela ambientale. Tuttavia, si trattava per lo più di un’operazione basata su progetti preesistenti, come la riserva di caccia della Casa Savoia, trasformata nel 1922 nel Parco Nazionale del Gran Paradiso.

Sangue e suolo: l’ecologia per la razza.

Se il fascismo italiano trasformò il paesaggio in una scenografia del regime, il nazismo elaborò una teoria ancora più radicale, formalizzata nel concetto di Blut und Boden (sangue e suolo). Questa retorica, sviluppata dal Ministro dell’Agricoltura del Reich Richard Walther Darré, legava l’identità razziale alla terra, sostenendo che la sopravvivenza della “razza ariana” dipendesse dalla sua connessione ancestrale con il territorio tedesco.

L’idea era che il contadino tedesco, radicato nella sua terra, fosse il custode della purezza della nazione, mentre le popolazioni urbane, straniere o nomadi fossero agenti di corruzione. Questa ideologia giustificò non solo politiche di riforma agraria, ma anche la necessità di espandere il Lebensraum (spazio vitale) attraverso la conquista dell’Europa orientale, con lo sterminio e la deportazione delle popolazioni locali. Due pesi e due misure quindi, perché se in patria tedesca il regime impose severe regolamentazioni sulla caccia e sulla protezione delle foreste, nei territori occupati sfruttò le risorse naturali dei territori occupati con una brutalità senza precedenti.

Un altro aspetto noto è il rapporto tra i vertici nazisti e il vegetarianismo. Adolf Hitler, pur non essendo rigorosamente vegetariano per tutta la vita, promuoveva l’idea di un futuro senza carne, ritenendo che un’alimentazione pura fosse essenziale per l’evoluzione della razza ariana. Heinrich Himmler era un convinto sostenitore della naturopatia e dell’agricoltura biodinamica. Rudolf Hess, il vice di Hitler, praticava il vegetarianismo con rigorosa disciplina, considerandolo parte di un cammino di purificazione spirituale.

L’ossessione per la purezza razziale, insomma, si estendeva fino alla dieta e al rapporto con la natura, nel ben noto intreccio di misticismo, suprematismo e dominio territoriale.

Violenza eco-fascista

Negli ultimi vent’anni, almeno tre attentati terroristici riconducibili all’estrema destra hanno evidenziato il legame tra ideologia ecofascista e violenza terroristica. I messaggi lasciati dagli attentatori in alcuni casi sono diventati dei veri e propri manifesti di quella che a vario titolo possiamo chiamare “galassia alt-right”: in tutti è rintracciabile la convinzione che la salvezza del pianeta possa essere raggiunta solo attraverso la difesa dell'identità nazionale, la chiusura delle frontiere e la stigmatizzazione di gruppi considerati estranei.

Il caso più emblematico è quello di Brenton Tarrant, autore del massacro nella moschea di Christchurch, in Nuova Zelanda, nel 2019. Nel suo manifesto The Great Replacement, Tarrant si dichiarava apertamente ecofascista, etnonazionalista e razzista, sostenendo che la protezione dell’ambiente fosse incompatibile con il multiculturalismo e la mescolanza etnica. Nel suo testo, riprendeva il motto nazista Blut und Boden (sangue e suolo), affermando che la salvaguardia della natura richiedesse la difesa dell’identità razziale.

Lo stesso anno, negli Stati Uniti, Patrick Crusius compì la strage di El Paso, Texas, con l’intento dichiarato di uccidere quanti più messicani possibile per proteggere l'identità bianca e l’ambiente. Nel suo manifesto, Crusius collegava la crisi ecologica all’immigrazione, sostenendo che la crescita della popolazione ispanica fosse una minaccia sia per la società americana sia per le risorse naturali del paese.

Un precedente significativo si trova nel 2007, in Finlandia, con Pekka Eric Auvinen, autore della strage nel liceo di Jokela. Auvinen si definiva un "ecologista armato" e si ispirava alle idee di Pentti Linkola, un filosofo ecofascista che sosteneva la necessità di ridurre drasticamente la popolazione attraverso metodi autoritari e genocidi per salvare il pianeta dalla catastrofe ecologica. La sua visione radicale postulava un ritorno a un ordine naturale elitario, dove solo pochi individui selezionati avrebbero dovuto sopravvivere.

L’ecologia viene così trasformata in uno strumento di esclusione, in una vera e propria "fascistizzazione dell'ecologia", dove il discorso ambientalista alza la voce, diventa autoritario e radicale.

D'altronde, l’ecologia non è mai stata neutrale, ma sempre il risultato di scelte politiche, economiche e sociali.


Lo sostiene David Harvey, geografo marxista e teorico del capitalismo, che ha analizzato come il neoliberismo riorganizzi lo spazio e le risorse a vantaggio delle classi dominanti, dimostrando che la gestione dell’ambiente è intrinsecamente legata alle dinamiche di potere.

Lo conferma anche Marco Armiero, storico dell’ambiente che ha sviluppato questa prospettiva in chiave bio-politica, mostrando come le lotte ecologiche siano spesso anche battaglie per la giustizia sociale, strettamente intrecciate con le disuguaglianze e le identità collettive.


Ma di tutto questo ne parleremo meglio venerdì 7 marzo a MondoCult.

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I nostri ospiti:
Francesca Santolini, giornalista e saggista, autrice di Ecofascisti (Einaudi).
Leonardo Bianchi, giornalista e tra i maggiori esperti italiani di complottismi e ideologie di estrema destra, autore di Le prime gocce della tempesta (Solferino)
A introdurre e moderare la discussione sarà Filippo Guidarelli, editor e antropologo che ha spesso approfondito lo spettro ideologico delle destre estreme e dei complottismi attraverso le loro manifestazioni nel mondo digitale.

📢 Le prenotazioni per l'evento sono aperte su Eventbrite!
👉 Posti limitati: prenota al link https://bit.ly/40P1nGo

🗓️ Venerdì 7 marzo
📍 Officina Solidale / MondoMangione (via Bernardo Tolomei 7, Siena)

Ti aspettiamo! 🌿🔥