Sabbia, filosofi e bicicletta a due passi da Kalinigrad

Sabbia, filosofi e bicicletta a due passi da Kalinigrad

Pensavo che il mare del Baltico fosse impetuoso su scogliere a picco. Mi ero informato male, evidentemente: si agita ma non spesso, quasi sempre è un mezzo lago, una laguna piatta grigia, marrone, calma. I fondali bassi e le acque poco salate. E immaginavo le isole allo stesso modo come roccaforti acquatiche mentre invece sono macchie di terra, alte poco più del mare. Sono moltissime, come è noto: facile ricordare il numero tondo di quelle estoni, 1500 scoglio più, scoglio meno.

Pensavo poi che tra terraferma e isola si trovassero mondi diversi, come succede da noi. Invece clima e paesaggi sono simili, con foreste, praterie e zone umide che si ripetono su entrambe le sponde. Storie di scambi e pratiche agricole comuni hanno rafforzato questa unità ecologica e culturale.

E così allo stesso modo la terraferma baltica non è compatta e solida come ti aspetti da una terra ferma, ma è un alternarsi continuo di laghi, paludi e torbiere glaciali, ovvero è un paesaggio semi-acquatico. Bucato, molle, come enorme groviera impastato di terra, mare e cielo, pieni e vuoti che ti confondono le idee con una luce abbacinante e molto, molto vento.

Si usa dire lingua di terra, e a Neringa – staccata dal continente da soli 10 minuti di barca – l'espressione calza particolarmente bene: è larga poche centinaia di metri e con la sua estensione di circa venti chilometri chiude la laguna di Curlandia. È fatta dalla sabbia accumulata da correnti e venti in un processo iniziato circa cinquemila anni fa. Le dune, nei secoli, arrivarono a seppellire interi villaggi dopo i grandi disboscamenti – il legname serviva soprattutto all’esercito dello Zar per la conquista di Kaliningrad. Solo nell’Ottocento si tentò di arginare l’avanzata delle sabbie piantando pini e arbusti. Oggi il paesaggio, così come lo vedi, ti appare naturale, ma è in realtà il risultato di decenni di rimboschimento e una manutenzione continua. Le dune mobili sono trattenute da una fitta rete di “trappole per la sabbia” che impedisce il passaggio a piedi per larga parte della loro estensione.

Neringa è oggi un noto luogo turistico lituano e già lo era già nel Novecento: Thomas Mann vi trascorreva le estati e qui si trova la sua casa museo. (Ma probabilmente, lui, non dovette pagare un ticket d'ingresso di cinquanta euro).

Nel 1965 arrivarono in visita anche Sartre e de Beauvoir, con il benestare di Chruscëv. A ricordare l'evento resta una statua in bronzo del solo Sartre, modellata su una foto di Antanas Sutkus scattata sulle dune. Simone de Beauvoir non compare (né in foto, né in bronzo): nell’immagine originale c’era, ma il fotografo la tagliò per fare del soggetto maschile una "metafora della filosofia": lo status delle donne nella società sovietica, sebbene proclamato uguale sulla carta e sebbene de Beauvoir fosse già un'intellettuale di rilevo, non era — evidemente — così tanto parificato .

La vicenda può sembrarci oggi poco importante ma nell'estate del '65, pienamente sotto occupazione sovietica, ebbe un enorme impatto sulla repubblica, che raramente riceveva ospiti così famosi a livello internazionale: la società lituana interpretò l'arrivo di intellettuali di fama mondiale come un segno della propria unicità culturale e della capacità di partecipare al dibattito intellettuale europeo, nonostante l'isolamento dall'Occidente.

Salendo oltre la statua di Sartre si arriva sulla cima della duna di Parnidis, la più alta di Nida. Qui una meridiana monumentale rappresenta il ciclo del tempo e il legame fra natura, cosmo e vita umana con un obelisco di granito alto quasi 14 metri che proietta la sua ombra sulle lastre di pietra disposte alla base, incise con simboli pagani baltici. Non a caso. Perché nei Paesi baltici, dopo il 1991, uno dei fondamenti della nuova identità è stato il recupero del paganesimo e dei suoi simboli: le foreste, i riti stagionali, un’idea di forza radicata nella natura. La Lituania fu l’ultima terra pagana d’Europa, cristianizzata solo nel XIV secolo durante la prima vera occupazione coloniale della regione, a opera dell’Ordine Teutonico: il paganesimo diventa quindi un potente serbatoio simbolico per la ricostruzione identitaria dopo la fine dell’URSS.

Pochi chilometri più a sud della duna di Parnidis, il territorio lituano si interrompe su un confine decisamente caldo. Di là comincia Kaliningrad, che un tempo era Königsberg: la città di Kant, che da qui non si mosse mai, e di Hannah Arendt, che da qui partì. Dopo la guerra, con l’annessione all’Unione Sovietica, la città cambiò nome e popolazione: i tedeschi furono espulsi e al loro posto arrivarono coloni russi, ucraini e bielorussi, ridisegnando radicalmente la sua demografia.

Oggi è un’exclave russa, base militare e punto geopolitico sensibile. Non solo per la sua collocazione strategica sul Baltico, ma perché insieme alla Bielorussia stringe un corridoio terrestre molto stretto, il cosiddetto “corridoio di Suwałki”. Sono circa 65 chilometri che uniscono Polonia e Lituania e tengono collegate le repubbliche baltiche al resto della NATO. Se la Russia riuscisse a prenderlo, i baltici resterebbero isolati. Da dentro la pineta questa minaccia sembra assai remota, ma basta guardare una carta per capire la fragilità di questa striscia di terra.

Pensavo di trovare Neringa affollata — nel senso più mediterraneo e disagevole del termine, ovvero come una qualsiasi località turistica d’agosto dalle nostre parti. Mi sbagliavo, almeno in parte. Il turismo qui è diverso: meno internazionale, meno chiassoso. E diversa appare subito anche l’interazione tra le persone, man mano che si sale verso nord: conversazioni ridotte al minimo, pochissimo contatto visivo. Sono tutti in vacanza, certo, ma sembrano presi da una missione serissima e imprescindibile: ad esempio, cucinare alle nove del mattino qualche chilo di pomodori in un panetto di burro, pulire con metodo il pentolame e poi via andare per l’escursione. Il tutto in religioso silenzio.

E come sempre, quando entro in questo “Nord collettivo”, lo spaesamento sociale delle prime ora si rovescia poi nel suo opposto: non sono loro a essere introversi —mi dico — ma noi a recitare la parte dei buffoni alla corte d'Europa. È solo l’impatto dei luoghi comuni, ogni volta, a destabilizzarmi. Poi passa.

Ci perdiamo anche noi come tutti in lunghe ore in bici dentro al parco nazionale, tra foreste di pini e di betulle che a tratti sembrano vibrare di un’inquietudine sottile: troppa quiete per essere vero. Una bici ci sorpassa: due ragazze, una sul portapacchi con le gambe di lato e il corpo piegato in contrappeso, capelli rosa, borchie, una cassa bluetooth che diffonde musica. Potrebbe essere l’inizio di una scena da triller per young adult, dove tutto minaccia di cambiare da un momento all’altro. E invece — immagino di volerlo pensare — è soltanto il loro momento di serenità assoluta, in un’estate di musica, desiderio e imprevedibili mutazioni.