Quadernini di Lanzarote

Quadernini di Lanzarote

Giorno 01

La prima cosa che vediamo fuori dall’aeroporto mentre andiamo a noleggiare la macchina è uno spiazzo semicircolare ornato di cactus, arbusti e piante grasse particolarmente sviluppate. Gli arbusti sono piegati in modo innaturale, come se qualcuno li avesse costretti, con insistenza di anni, ad assumere quella posizione per un calcolo sadico. Il terreno che ospita le piante vira dal grigio scuro al vinaccia, è formato da grani grossi simili alla rena, e ha l’aria di poter trasformare in un incubo le abituali ginocchia sbucciate dei ragazzini cresciuti all’aperto. Dietro ai tronchi storti degli arbusti e alle bandiere istituzionali, tese fin quasi a strapparsi, c’è la stessa mano, quella dell’unico vero signore dell’isola: il vento.

I padroni della casa che abbiamo preso in affitto a Yaiza possiedono un bellissimo pastore tedesco a pelo lungo che se ne sta accucciato subito fuori dalla porta e non lo vediamo mai muoversi: secondo me perché, come tutti i pastori tedeschi, è affetto da displasia dell’anca; ma questo esemplare, per un particolare riserbo caratteriale, non desidera farsi vedere da sconosciuti (in questo caso io, amico G e amico P) mentre trascina le zampe posteriori in quel modo così penoso se raffrontato al suo aspetto regale.

Sono le 21 e dobbiamo mangiare. Ci consigliano di andare a El Golfo. El Golfo è una distesa di venti ristoranti uno vicino all’altro, tutti sul mare, e tutti chiusi. Venti ristoranti chiusi, anzi, diciassette chiusi del tutto, e tre chiusi ma con qualcuno dentro che passa strofinacci sul bancone illuminato da un neon, come nel più classico Hopper, in riva a un oceano buio e in burrasca, mentre il vento fa sbattere alcune lamiere: se ci fossero anche delle palme secche e molto alte, si formerebbe la sostanza stessa della desolazione senza ritorno; ah, eccole, ci sono anche le palme.

Le alternative per sfamarsi si restringono improvvisamente a due: pescare di notte alla cieca nell’oceano (considerando che solo uno di noi saprebbe farlo, ed è Amico P) oppure farsi un’oretta di strada fino ad Arrecife, la capitale. Scegliamo la seconda soluzione. Arrecife si presenta come la città con il più problematico rapporto tra superficie abitata e facilità di transito: è un centro piccolo, appena sessantamila abitanti, ma è praticamente impossibile non perdersi nel labirinto dei suoi sensi unici, resi ogni minuto più opprimenti dal fatto che, malgrado siano le 22 e 30, sembra sia stato proclamato un coprifuoco. Non siamo poi così lontani dal riconsiderare i cannibali con una sorta di garantismo liberale, quando ecco il miracolo: l’ennesima stradina contorta si apre su una grande baia illuminata che sembra riempirci i polmoni dopo un’apnea. È il porto vecchio, ci sono molti locali aperti, il clima è gradevole, le barchette azzurre di legno ondeggiano impercettibilmente sull’acqua immobile, e la prima birra, il tagliere di formaggi, il polpo, le papas arrugadas ci fanno l’effetto che forse sempre, alle persone, dovrebbe fare l’abbondanza di cibo: quello di un colpo gobbo, o di un terno secco.

Giorno 02

La mattina presto Lago Verde appare come un grande spettacolo preistorico. La natura ha provveduto ad accostare il turchese dell’oceano, il bianco della schiuma, il nero dei ciottoli di spiaggia, il lago d’acqua salata - di un verde simile all’olio d’oliva nuovo, ma ancora più brillante - e le rosse rocce vulcaniche che lo cingono da tre lati.

I sassi rotondi risucchiati dalla risacca a ogni onda che arriva sbattono insieme producendo un rumore coriaceo e musicale insieme.

“Tutto concorre a credere nell’esistenza degli dei pagani. L’uomo sta a zero”, dice Amico P, ed è vero. 

L’uomo sta a zero, eppure qui ne arrivano a carovane, e c’è forse qualcosa di umiliante, per un luogo magico diventato com’è grazie alla forza degli elementi e al silenzio dei millenni, nel diventare il semplice sfondo per l’ennesima fotografia sorridente dell’ennesimo corpo umano che si sente speciale, e per la presunta eccezionalità della sua esperienza.

Su un rettilineo che sembra non finire mai incrociamo una handbike. Rasserenante vedere un corpo disteso e in movimento, ma terribile l’idea di un mulinare di braccia senza possibilità di cedimento.

Apprendiamo della morte di Keith Flint. Eravamo già troppo grandi, al tempo, per prendere sul serio le sue sgargianti creste laterali – mirabile esempio di come mascherare la calvizie e restar tuttavia punk -, le sue pose da pazzo violento e i suoi occhietti satanici che balenavano da oscure gallerie; ma sia io, che Amico G, che Amico P, gli abbiamo voluto bene, certi di chi avremmo sempre scelto tra i Prodigy e determinata altra gente.

Apprendiamo anche che Nicola Zingaretti ha vinto le primarie ed è diventato il segretario del Partito Democratico ma, e non so spiegarmelo, non riusciamo a considerarla una notizia in grado di compensare la precedente.

Siamo circondati da collinette di terreno scuro battute da un vento incessante, dove incredibilmente, grazie a delle specie di trincee, riesce a crescere la vite. Per ogni oyo - semicerchi formati da un muro a secco a protezione del vento - c’è una pianta di vite, schiacciata a terra come per nascondersi da un cecchino. Ne viene fuori un bianco speciale, e a La Geria, a mezzogiorno, ne beviamo un po’, brindando al Grasso della Terra: l’esatto opposto di questa terra qui.

L’infinita spiaggia di Famara pullula di surfisti. Pranziamo nel paese di Teguize. Accanto a noi siede un sosia  di Ronald Reagan, uno dei moltissimi che scorrazzano liberi per il mondo. Guardatevi accanto, potrebbe essercene un altro.

Chiedo a Amico P: “è qui la casa di Saramago?”
“No”.

Il sole picchia duro. Risaliamo il monte di Las Hoyas fino a un altopiano su cui spiccano una postazione simile a una specie di osservatorio astronomico, e una casa sbarrata provvista di un orto dove incomprensibilmente, dalla terra nera, cresce una lattuga verdissima. Camminiamo sul suolo catramato. Ci rallegriamo di essere capaci di pisciare all’aperto anche in presenza di vento forte. Facciamo la spesa per cenare a casa mentre i ragazzini di Arrecife si preparano a un’altra serata di carnevale. Due amici sono vestiti da orango e da gorilla e si abbracciano, non credo che in natura questi due animali potrebbero mai venire a contatto, il primo è asiatico e il secondo africano, ma se succedesse cercherebbero sicuramente di uccidersi e penso vincerebbe il gorilla, a meno che l’orango non fosse abbastanza veloce da fuggire su un albero, lui che sugli alberi ci vive.

Giorno 03

Ci svegliamo alle 6,00. Amico P ha l’elettricità concentrata del predatore: sta per pescare in una spiaggia immensa che conosce e adora. Arrivati a Playa Blanca, gigantesca e deserta, Amico P non sta nella pelle. Quasi corre alla spiaggia. Io e Amico G camminiamo lungo il promontorio, vediamo dall’alto a strapiombo l’insenatura trasparente di Playa Papagayo e altre calette irraggiungibili. Al ritorno faccio un bagno nell’oceano freddo, il primo bagno dell’anno. A mezzogiorno la spiaggia è piena di gente. Quando il sole è a picco, e la spiaggia è piena di gente, e non ci sono ripari ombreggiati, non riesco a concentrarmi né a riposare, non riesco a leggere né a distendermi, non so fare più niente.

Ce ne andiamo. Al parcheggio un italiano del sud, tatuato e rasato, mima il rollaggio e dice “Ninos, una bomba? Ah, siete italiani. Non è che avete una cannetta?”

Amico P dice che quelli come lui, per i quali i mari e le isole sono solo un’eterna Ibiza, andrebbero fucilati.
“Non ti pare un po’ poco, per giustificare una pena capitale?”
“Sai, noi serbi guardiamo lontano”.
“È qui vicino la casa di Saramago?”
“No”.

Scrive Schopenhauer che "Gli individui feroci si divorano a vicenda e quelli mansueti a vicenda si ingannano, questo è ciò che si chiama il corso del mondo". Io invece credo, più che altro, che gli individui feroci rompono i coglioni agli individui mansueti (e al corso del mondo); e con oggi si può smettere di prendere sul serio le citazioni di Schopenhauer o il suo stesso nome come sinonimo di autorevolezza di pensiero.

Il tramonto lo vediamo a Playa Montana Bermeja, e resterà tra i più belli di sempre: un assurdo strato di nuvole arancio-viola si frappone fra il limite del mare visibile e la pulizia dello specchio celeste. La coltre e le sue sfumature rosate creano un gioco prospettico, come una porzione di spazio tridimensionale che si estende in profondità a mezz’aria, un deserto tra mare e cielo da cui spuntano collinette rade – le nuvole più scure – prima che ricominci un azzurro terso ormai vicino a essere inghiottito dal blu notte.

Giorno 04

Ho sognato che parlavo a lungo col batterista dei Mogwai: mi dava molti consigli ma con una sufficienza confinante col disprezzo. Ieri il clima sempre mite e il vento onnipresente hanno occultato l’intensità del sole, che come al solito mi ha fregato. Adesso curo le scottature con foglie di aloe che abbondano ovunque, fingendo di farlo per scoprire le straordinarie proprietà immunostimolanti – credo di avere usato per la prima volta la parola emollienti - dei milioni di piante succulente o grasse che popolano l’isola, e non perché a quasi quarant’anni non sono in grado di usare decentemente una crema solare della Coop. 

Visitiamo la riserva biosferica del vulcano Timanfaya. Data l’eccessiva inflazione dell’aggettivo “lunare”, l’area non è purtroppo descrivibile a parole. Si sa che nel 1730 avvenne l’eruzione più grande della storia, e qualcuno giura che le rocce siano ancora tiepide. 

A Teguize prendo un caffè che mi manda di fuori. Dicono Amico P e Amico G che per limitare l’assuefazione da caffè si deve smettere di berlo, almeno per un periodo.

Raggiungiamo Mirador del Rio, da cui riusciamo a godere della vista completa de la Graciosa - l’isoletta gioiello che sta proprio qua davanti - e, allo stesso tempo, a non morire investiti dai ciclisti tedeschi conciati come astronauti e concentrati sui ritmi folli dei loro allenamenti di livello olimpico.

Completiamo la circonvallazione dell’isola passando da Orzola. C’è un braccio di mare turchino, sassoso, ventoso. Non faccio il bagno per via dei brividi di freddo causati dalla mezza ustione di ieri. C’è una famiglia che ha acceso un fuoco per la brace. Ci guardiamo, e senza parlare siamo d'accordo: sono italiani.

Chiedo ad Amico P: “È qui la casa di Saramago?”
“No”.

Dopo pranzo Amico G e Amico P tornano in macchina a Playa Montana Bermeja. Decido di raggiungerli con una corsa. Da Yaiza la spiaggia dista tredici chilometri, che considerando il vento atroce si avvicinano sensibilmente ai cento. La strada è circondata da un paesaggio ostile e impraticabile, fatto di pianure laviche e rocce nere estremamente appuntite. Le uniche chiazze verdi sono le decine di cespugli di Euphorbia Balsamifera che punteggiano una collina - per questo ribattezzata Monte Foruncolo - come la faccia di un adolescente devastata dall’acne. 

Quattro imbecilli sorpassandomi mi urlano qualcosa dalla macchina. Rispondo imitando le loro grida, ma con parole prive di significato. Li immagino che fermano la macchina, scendono mentre continuo a offenderli, sono in quattro, dunque comincio a correre nella distesa di magma pietrificato che ci circonda, consapevole che l’unica superficie praticabile per degli stronzi come loro resterà la lingua liscia di asfalto della strada, essendoci intorno solo lava rappresa, rocce vulcaniche friabili e leggere, come riempite d'aria, simili al carbone, ma con una superficie durissima e tagliente, sulla quale io manterrei comunque un’agilità di base, e non mi prenderebbero mai, e anzi potrei lanciare verso di loro scaglie di carbone aguzzo, e magari distruggere a poco a poco la loro macchina, un bozzo dopo l’altro, e infine scomparire per sempre scalando Monte Foruncolo.

Taglio il traguardo della spiaggia con un urlo festoso. Mi siedo sulla parte alta della caletta come fosse una tribuna. Amico P sta pescando e fa un lancio lunghissimo. Mi convinco che appena il gabbiano che da un po’ gravita nella zona di lancio si allineerà sopra la lenza, allora abboccherà una spigola gigante. La manutenzione continua (che chiameremo pazienza attiva) della canna da pesca porta via 2/3 del tempo in attesa dei pesci. Il terzo che resta lo possiamo chiamare pazienza passiva. Abboccano alcuni ghiozzi, e dei pesciolini minuscoli dai riflessi verde iridescente.

Si piazzano in spiaggia due sessantenni, lui sovrappeso, lei simile a Kim Gordon.

Stendono un telo sulla parte alta della spiaggia e ci restano per quasi due ore pomiciando come liceali il sabato pomeriggio. Poi arrivano tre ragazzi con uno yorkshire. La prima decisione dello yorkshire è di correre ad annusare il culo a Kim Gordon distesa, ignara e comprensibilmente sorpresa. Dopo qualche minuto la coppia si alza e se ne va. È plausibile ritenere che lo Yorkshire abbia, diciamo così, spezzato un incantesimo. 

Da un vecchio fumetto spuntano fuori quattro versi:

“Luna di marzo, acqua primordiale,
da cui procede l'universo mondo,
vaso di Pandora del ciclo naturale,
coppa dello yin da bere fino in fondo”

Giorno 05

Mentre viaggiamo all’alba verso Playa Quemada chiedo a Amico P: 
“È qui la casa di Saramago?”
“Sì. Quella strada là”.

Ci sono casette abusive che arrivano a un passo dall’acqua, ma poi Playa Quemada è una falce stupenda e lunghissima. Amico P dopo un minuto pesca uno sgombro. Lo prende usando come esca un pesciolino minuscolo dai riflessi blu elettrico che era stato travolto dalla marea all’alba e che avevamo trovato in spiaggia appena arrivati. Il pesciolino blu elettrico è segno di buon augurio e di speranza: Amico P pesca una mormora. Dopo un’ora si fa strada il primo sole. Arrivano due donne anziane e fanno ginnastica. Con Amico G saliamo sul monte che domina Playa Quemada, lo scavalchiamo e partiamo a piedi per una gola seguendo un torrente secco che è stato comunque capace, pur col suo flusso casuale e saltuario di acqua piovana, di scavare argini piuttosto alti e crearsi un letto al centro esatto della valle. Si chiama Barranco de lo higuera e sembrerebbe regnare su una valle morta, ma non è così, gli animali ci sono, conigli selvatici, lucertole atlantiche, e soprattutto uccelli, falchi lontani in alto e delle specie di fagiani (Ubara Canaria) che scappano con una corsa affrettatissima e molto buffa. Ogni tanto appare una casamatta in muratura. Nel silenzio si sente qualche belato di capra, ma sarà vero? Non si capisce di cosa possa nutrirsi un erbivoro, dal momento che non esiste praticamente vegetazione. Dopo qualche chilometro ci voltiamo indietro a guardare da dove siamo venuti. La gola è una voragine risucchiata dall’oceano. Si comincia a salire verso un valico. Fantastichiamo che Amico P nel frattempo abbia pescato un piccolo capodoglio, o un marlin blu, o magari un giovane narvalo, tutti attirati verso riva dal pesciolino magico blu elettrico. Il vento incessante crea alcune allucinazioni sensoriali come quella di essere posseduti da un eterno mal di testa - misto a secchezza delle fauci - e di venire a poco a poco assorbiti dalla consistenza granulare del suolo arido sprofondando senza possibilità di salvezza mentre risuona a volume assordante una tradizionale musica canaria tipo La Zaranda. Al valico troviamo un allevamento di capre gestito da un unico operaio. Con Amico G arriviamo alla conclusione che queste capre si nutrano non di mere pianticelle (che peraltro non sono presenti), ma di cultura locale e approcci proattivi. Scendiamo verso il paese di Femes. Nel bar è appesa una foto dell’Union Deportiva Las Palmas, la squadra di calcio rappresentativa di tutte le isole Canarie. La foto risale agli anni settanta. Facce da spagnoli duri, gente isolana, non voglio dire simili ai sardi perché da quando ho cinque anni sono convinto che i sardi se la prendano per qualsiasi cosa, e visto che ascoltano e capiscono tutto, prima o poi verrebbero a farmela pagare. Con Amico G riguadagniamo la cresta del monte e percorriamo il crinale per la seconda parte dell’anello che ci riporterà alla spiaggia. Parrebbe impossibile, ma il vento è aumentato. L’unica persona che incontriamo è un’americana che corre veloce da sola e sembra poter essere sbalzata dalle raffiche giù dal crinale e rotolare urlando amaaazing! fino all’oceano. Perdiamo quota con una discesa rocciosa molto ripida. In spiaggia ora c’è un sessantenne obeso albino completamente nudo.

Pranziamo a tapas, frittura e birrette su una veranda rialzata sul mare. Ci serve al tavolo una specie di Zanardi ballerino, snodato, sciupato. L’osteria è piena di inglesi di mezza età con le loro mogli ammutolite, definitivamente sfiorite, non riesco a smettere di osservarli e di immaginarli da giovani, sbronzi, al pub, mentre urlano cori goliardici per la propria squadra. Solo per un attimo vedo brillare i loro occhi, ed è quando sbattono i boccali di birra nel primo brindisi.

Leggo che il corpo di un albanese è stato trovato murato vivo durante i lavori per una casa a Senago, Brianza; i muratori italiani colpevoli sono stati presi dopo sei anni. 

Amico G e Amico P nel pomeriggio vanno a bere qualcosa. 

Dopo cena guardiamo il video di una tigre che agguanta un uomo per il collo e lo trascina dietro una siepe per sbranarlo. È possibile che sia una specie di contrappasso per tutte le volte che un uomo ha preso un gatto per il collo dicendo “Non gli fa male, qui non sente niente”. 

Proviamo ad addormentarci anche se il vento ulula e sbatte qualsiasi cosa. 

Domattina presto saliremo sul volo di ritorno, accanto a Amico G siederanno due coniugi con maschere anti luce che li faranno assomigliare a dei calabroni, davanti a me ci sarà un’aspirante surfista intenta a scorrere l’album di foto ricordo del viaggio, tutte notturne, a un certo punto vedremo in basso una grande isola che non saprò riconoscere, e poi avrò un presentimento, se gioco al Gratta e Vinci dell’aereo vinco diecimila euro, forza, sta passando il tizio proprio ora a distribuirli, solo due euro che tra l'altro sono devoluti praticamente per intero agli ospedali per bambini in Africa, vinco diecimila e ci compro una bella bici da corsa, un Vespone bianco di quelli coi fianchi bombatissimi, alcuni libri, offro da bere a tutto l’aereo e rimarremo amici per sempre con tutti i passeggeri, ogni anno una grigliata per rivederci, anche con i piloti, e ripensare insieme a quel volo strepitoso, sebbene disturbato dal vento, e a quel marzo indimenticabile, infine compro una capanna a Lanzarote vicino alla casa di Saramago per poterci tornare quando ci va, anche in inverno, soprattutto in inverno, ma purtroppo tutto ciò si rivelerà un’illusione poiché giocherò sì al Gratta e Vinci, ma non vincerò nulla, come accade nella maggior parte dei casi, e mi soffermerò sulla somiglianza tra una hostess bionda e Umberto Maria Giardini, che adesso pare si faccia chiamare di nuovo Umberto Giardini, e continuerò a leggere Trilogia della città di K, opera così dotata di essenzialità, spigolosità ed esattezza da rafforzare la spiritualità, e penserò che durante un volo non sono mai stato così sicuro di sopravvivere, dev'essere grazie alla presenza di Amico G e Amico P, e a quel punto, giù in basso, sarà già tempo di vedere la cintura della grande Milano che non si ferma mai.

Serie fotografica di Giulio Burroni

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