Mal d'africa #1

Gli oggetti del tuo ufficio quotidiano ancora li trovo in giro, perché il borgo è rimasto congelato al tempo in cui te ne andasti. Ma è senza le cose vive: niente più fioriere, limoni, galline parlanti, gatti pirati, cani dal pelo lucido, conigli appesi, finestre spalancate, plotoni di cipolle e patate.
Sparita la concimaia, il fieno nei capanni, le maledette oche.
Sopravvive tuttavia, e ancora, un certo sentimento delle cose - diceva PB -, mano a mano che le cose si rompono e voi tutti siete dissipati. Sopravvivono le rane nel fontone.
Le tue scritte di bambino sui murelli sbrecciati so ancora come trovarle, vicino al grande leccio. Erano già allora segnali di una vita che sentivo remota, una vita passata, nella nostra vita passata. Incommensurabilmente lontana per me bambino, che ti immaginava bambino a incidere W Bartali con un chiodaccio arrugginito.
Mi faceva allegria il barattolo del caffè Paulista, nascosto nel mobile alto, altissimo. Mi facevi allegria tu, nel rito del Paulista: tutt’altro che napoletano, perché acquoso lo sorseggiavi "in tazza grande". Pazziavo per l'immagine della faccia “del baffuto che conquista” stampata sul cilindro di latta.
Quello che succedeva dopo il tuo solenne e patriarcale Paulista era soltanto che si andava a riposare. E quello che provavo allora è riuscito a dirlo bene solo Battiato.
"...Cullati dalle zanzariere e dai rumori di cucina.
Dalle finestre un po' socchiuse, spiragli contro il soffitto.
E qualche cosa di astratto si impossessava di me.
Sentivo parlare piano per non disturbare.
Ed era come un mal d'Africa, mal d'Africa".