Il cubo di Rubin. L’esperimento del produttore americano a Casole d'Elsa si è concluso, oppure è appena cominciato

Il cubo di Rubin. L’esperimento del produttore americano a Casole d'Elsa si è concluso, oppure è appena cominciato

Le voci giravano da mesi: il barbuto in tshirt e pantaloncini stinti che ha rivoluzionato la musica alternativa degli ultimi trent’anni ha fatto investimenti immobiliari in Valdelsa e sta per organizzare qualcosa nel suo stile: lo stile di chi è oltre i codici comuni, perché quei codici li ha creati molto prima che i pubblici li potessero capire. 

Dietro al ritiro toscano di Rick Rubin ci sarebbe la mano di Lorenzo Cherubini, il Jova, che prima di lui ha acquistato una tenuta nel comune di Casole d’Elsa e avrebbe poi incoraggiato Rubin a fare lo stesso, dopo che la fiducia tra i due si era saldata con una collaborazione discografica. E, a sentire le voci – perché le voci sono le protagoniste di questa storia, non i fatti – sarebbe stato Jova a caldeggiare l’organizzazione dell’evento di cui si sta parlando da una settimana. Ma nel concreto c’è stato soprattutto il lavoro di Fiammetta Cicogna, imprenditrice e attrice, vicina a Rick da molti anni.

L’annuncio ufficiale è arrivato poche ore prima dell’inizio delle danze, con una locandina minimale: “Festival of the Sun (curated by Rick Rubin)”; un tarocco al centro su sfondo bianco, 20-21 giugno, Casole d’Elsa. Gli sponsor segnalati in piccolo, visibili solo ai più attenti. Tra questi Enel, che non poteva certo astenersi da allungare i suoi zamponi, considerando anche che le sue tubature innervano la Valle geotermica dai ‘60 dello scorso secolo. E poi Mubi, il servizio di streaming globale, casa di produzione e distribuzione di film, grazie a cui il pubblico del Festival ha potuto vedere alcuni film scelti per l’occasione dallo stesso Rick Rubin dal catalogo Mubi. K-array, Rayban. Woodworm, l’operosa etichetta toscana, impegnata nella produzione tecnica dell’evento.

Credits: Stefano Mattea

Al momento del going public, venerdì 20 giugno, gli ingredienti del racconto erano ben pochi e tuttavia abbastanza per innescare il fortunato gioco delle ipotesi e le smanie di chi soffre della sindrome del restare fuori dal giro. D’altronde, si è pensato, Rubin tiene in palmo di mano una lista sterminata di artisti che potrebbero potenzialmente esibirsi, anche per semplice ossequio alla divinità shanti del rock alternativo. 

Ma solo a chi è totalmente digiuno delle dinamiche dell’ambiente musicale, o del mondo in generale, poteva non risultare già dalle prime che la faccia pubblica dell’evento sarebbe stata solo quella visibile del gioco di Rubin, e che l’esclusività “vera” si sarebbe ben nascosta nei backstage ricavati dalle case parrocchiali di Casole d’Elsa.

Ci siamo immaginati quindi jet privati in volo verso l’Italia, carichi di star pronte a rispondere alla chiamata del guru, cancellando ogni altro impegno. Li si è visti come vuole il cliché del milionario in vacanza in Toscana: rilassati e vestiti di stracci, a calco dello stile della mente del festival. Eppure mai troppo rilassati da non saper cogliere, anche in vacanza, l’affare immobiliare, trasognati nell’esotica idea di un paesaggio oleografico dove i prezzi al metro sono già alle stelle per i comuni mortali, ma ancora ridicolmente bassi per chi ha che fare con il mercato immobiliare californiano.

Il giorno dell’annuncio, primo giorno di festival, il cielo e l’aria di mezza Italia erano ancora pieni delle polveri sahariane che hanno trasformato per una settimana le nostre giornate in un set di “Dune”: calore umido, immobilità, assenza di colori e sfumature di luce, meteoropatia diffusa e ampiamente dichiarata.

Le regole del festival vengono svelate in mattinata sui social: si comincia alle 14 e si va avanti fino alle 20. Impossibile sapere chi suonerà e quando. L’invito implicito di Rick Rubin è di mollare schemi mentali e abitudini comuni. Smettetela con il desiderio di voler sapere; piuttosto affidatevi e venite a vedere con i vostri occhi. Intanto provate a immaginare. 

Ma per via di quella serie di concause sopra indicate, congiunte al fatto ormai assodato per cui se hai superato i 40 il venerdì non è più l’inizio della festa ma l’ultimo miglio della fatica settimanale, solo qualche centinaio di persone riesce a liberarsi dagli impegni con così poco preavviso e arrivare a Casole d’Elsa. Gli altri, me compreso, cominciano a sperimentare a distanza i primi effetti del gioco di Rubin: voci che rimbalzano, messaggi social, prime testimonianze di quello che stava accadendo, una montante ansia dall’esserne fuori. 

E infatti, video e passaparola dalla prima giornata hanno viralizzato l’interesse per il giorno successivo: i Gossip al completo si sono esibiti in un live strutturato e potente con un allestimento audio da concerto “vero”; James Blake ha suonato nella chiesa romanica del paese, dove si è sentito anche il canto vedico di Krishna Das, rockstar dello yoga e allievo di Ravi Shankar. E a catalizzare l’interesse di massa, le voci dell’esibizione di Jova si sono rivelate fondate. Se è successo questo il primo giorno, il sabato ci si poteva attendere altrettanto,  se non di più.

Credits: Kimberley Ross
Credits: Stefano Mattea

E il sabato il cielo finalmente si schiarisce, l’aria torna filtro di buona luce e il sole fa sentire la sua presenza, come ci si aspetta che sia nel giorno d’inizio estate: grazie, per una volta, climate change. Inevitabile quindi che il pubblico del week end fosse molto di più rispetto al venerdì. 

Già alle 3 del pomeriggio nel centro storico di Casole si apprezza una varietà umana singolare: adolescenti sovraeccitate per le voci sulla possibile esibizione di Ghali, krishna girl seminude con la pelle tatuata di mandala, giovani post-indie alla moda divorati dalla fear of missing out, famiglie della zona venute a “farsi un giro”. E una serie di soggetti immediatamente riconducibili al cerchio magico: americani bellissimi che scendono da auto scure, qualche ammaccata celebrità nostrana, artisti di vario cabotaggio, eletti con il pass al collo che si insinuano nei pertugi di accesso ai backstage come murene dei muri

La line up completa del secondo giorno, anche se si era presenti, la si deduce solo a evento concluso, soprattutto se le file per entrare nella chiesa hanno scoraggiato e si sono perse le esibizioni acustiche indoor.

Ex post, quindi: Ecstatic Cosmic Dance con la sua selezione elettronica e mistica da immaginario global south, il milionario fondatore di Twitter Jack Dorsey, che ha parlato in un talk su tecnologia e libertà – immagine simbolo del paradox mindset dell’evento. E ancora Lucinda Chua dalla londinese 4AD, le contaminazioni pop di Rhye, la compositrice e pianista armena Marie Awadis. E sul finale, dopo una lunga e spiazzante attesa nel silenzio della piazzetta, Win & Regine degli Arcade Fire entrano cantando “Wake Up” in acustico, poco prima del buio, per concludere 15 minuti dopo con un bagno nel pubblico, mentre dalle casse suona l’incredibile Secondo Canto delle Lavandaie della Nuova Compagnia di Canto Popolare.

Credits: Stefano Mattea
Credits: Kimberley Ross

A dirla così, niente male: e infatti, niente male davvero. Se non che, per la maggior parte delle persone il pomeriggio del sabato è stato una lunga attesa di qualcosa che poteva e doveva succedere, nell’accettazione commovente della regola della segretezza che, tuttavia, di ora in ora, è diventata sempre più surreale fino a toccare un senso di irritazione generale per le pochissime esibizioni in piazzetta. E infine, vagamente umiliante per la scarsa ricompensa ottenuta dall’ultimo show.

Oggettivamente è sembrato che durante il sabato, la magia del primo giorno si sia persa in un programma poco bilanciato tra performance all’interno della chiesa, riservate a pochi, e la piazza, questa volta stracolma ma rimasta perlopiù a digiuno di musica per tutto il pomeriggio.

Durante l’attesa, mai troppo spiacevole, non è mancato il tempo per cogliere opinioni divergenti sulla festa del sole: una manna dal cielo se i ricchi investono in eventi del genere, portando risorse al territorio – ristoranti, bar, notorietà. E poi ci sono le loro tenute, che saranno pure delle fortezze dell’esclusività, ma offrono lavoro a giardinieri, manutentori e provider di servizi vari. Tanto meglio se questi nuovi e discreti invasori provengono dal mondo dell’arte, della tecnologia e delle nuove spiritualità, anziché dall’Oil&Gas o dell’agroalimentare.

Per i critici, invece, tutto questo è la faccia buona del nuovo colonialismo, benzina sul fuoco dell’over tourism e della trasformazione del paesaggio in un simulacro.

Eppure siamo tutti lì, in piazza a Casole d’Elsa, perché, qualunque sia il pensiero, la ricetta del secret festival era troppo appetibile per non approfittarne: fan di ipotetici artisti, addetti ai lavori, curiosi, scettici, santoni, buffoni, famiglie e, cosa importante, molti bambini felici. Sullo sfondo, gli abitanti ultrasettantenni di Casole che osservano con un adorabile distacco dall’hype della situazione.

Nonostante la spiacevole sensazione che il sabato si siano offerti dei diorami di concerti piuttosto che vere esibizioni, il Festival of the Sun ha sicuramente lasciato un segno, sollevando domande sensate su come l’arte e la cultura possano integrarsi in contesti locali senza snaturarli. 

Sarà quindi interessante vedere come si evolverà questo esperimento nei prossimi anni e quale impatto avrà sul territorio e sulla sua comunità senza risultare l’ennesimo corpo estraneo innestato nella cultura local a beneficio di un ristretto cerchio magico.